Rito di Passaggio di Alessio Pizzicannella – BLOG TOUR

Rito di Passaggio di Alessio Pizzicannella – BLOG TOUR

27 Ottobre 2021 0 Di rosa78gervasi
Book Cover: Rito di Passaggio di Alessio Pizzicannella - BLOG TOUR

Carissimi Book Lovers, oggi vi presento la seconda tappa Estratto del Blog Tour del romanzo di Alessio Pizzicannella "Rito di Passaggio", edito dalla casa editrice Baldini+Castoldi, un romanzo poetico e avventuroso, che racconta una vicenda universale: il momento nella vita di ognuno di noi in cui non si è più bambini ma non si è ancora adulti e ogni scelta può essere quella decisiva.

 

Scheda Tecnica

  • Titolo: Rito di Passaggio
  • Autore: Alessio Pizzicannella
  • Serie://
  • Data di Pubblicazione: 23 Settembre 2021
  • Genere: Narrativa Contemporanea
  • Casa Editrice: Baldini+Castoldi
  • Pagine: 208
  • Prezzo: eBook € 9,99 - Cartaceo € 16,00
  • ACQUISTALO QUI: AMAZON

 

Sinossi

È l’estate del 1984 e il protagonista, un ragazzo di dodici anni, sua sorella poco più grande e il suo migliore amico, sono ospiti di un orfanotrofio gestito da suore.

Le “invisibili” come le chiamano loro.

I tre amici si ritrovano presto a far amicizia con un nuovo arrivato dell’orfanotrofio.

Un coetaneo che si rifiuta di svelare il suo vero nome, fornendo come unica spiegazione il fatto che quello di battesimo gli era stato dato da chi poi, di fatto, lo aveva abbandonato senza farsi troppi problemi.

Curiosità e sospetto per il ragazzino scombussolano i loro rapporti.

Difficoltà facilmente sormontabili per un gruppo di dodicenni, che presto legano al punto di voler seguire l’esempio dell’ultima recluta, scegliendosi anche loro dei nuovi nomi.                                                                                                

Tutt’altro tipo di ostacolo da affrontare è quello che gli si presenta da lì a poco.                              I ragazzi scoprono infatti che uno di loro sarà adottato e posti davanti all’inevitabile separazione per mano degli “invisibili”, decidono di vivere un’ultima avventura insieme.                                                                                                                                              

Fuggono dall’orfanotrofio trovando nascondiglio in montagna dove i primi giorni sono vissuti con un misto di timore ed entusiasmo, poi, a mano a mano che salgono verso le cime, avvertono il senso della loro avventura farsi sempre più sfuggente.

Non staranno cercando di compiere un’impresa troppo grande?

Sotto stress e ispirati dal libro di fantascienza da cui uno dei ragazzi è ossessionato, pianificano una nuova fuga, questa volta cercando rifugio in un loro fantastico rito di passaggio, prima di dover affrontare in modo definitivo quello che li aspetta a valle.

Le ombre delle decisioni di ciascuno si allungano fino al loro futuro di adulti.

Un romanzo poetico e avventuroso, che racconta una vicenda universale: il momento nella vita di ognuno di noi in cui non si è più bambini ma non si è ancora adulti e ogni scelta può essere quella decisiva.

 

Biografia

Nel 1993 la musica, all’epoca la mia più grande passione, mi portò a trasferirmi in Inghilterra dove mi ritrovai in pieno fenomeno Britpop.

Un periodo incredibile, nel quale la musica prese per mano l’intera scena culturale e politica del paese, riportano Londra ad assaporare la gloria e lo swinging degli anni 60, in quella che veniva definita Cool Britannia.

Per una volta ero al posto giusto, al momento giusto, e volevo farne parte.

Così uscii di casa per vendere il mio basso a un negozio in Denmark Street, l’epicentro della scena musicale degli anni 60, e con il misero ricavo andai poco più in là, ad una parallela dove c’erano i negozi di macchine fotografiche.

Iniziai a fotografare qualsiasi concerto riuscissi a farmi accreditare, mi iscrissi ad uno corso di fotografia alla Central St Martin, la scuola d’arte citata dai Pulp, e una volta messe insieme abbastanza foto bussai alla porta del NME. La rivista musicale più importante in Inghilterra e in quel momento nel mondo. La redazione che inventò di sana pianta la battaglia delle charts tra Oasis e Blur, il centro nevralgico di quella nuova scena musicale.

Ancora una volta, il posto giusto al momento giusto, mi fu data una chance ed entrai dalla porta principale del Britpop.

Venni immediatamente risucchiato da quel vortice e passai gli anni che seguirono a girare il mondo per ritrarre autori del calibro di Neil Young, Rolling Stones, Metallica, REM, Radiohead, U2.

Iniziarono subito le collaborazioni con le principali case discografiche e con i più noti magazine Inglesi e internazionali («Vanity Fair», «Rolling Stone», «Times», «The Guardian», «The Observer»).

La mia frequentazione al corso di fotografia, appena iniziato, non arrivò oltre il Natale. L’NME era un settimanale e generava tantissimo lavoro, non c’era tempo da perdere e  dovetti imparare tutto molto velocemente sul campo.

Furono anni pieni di aeroporti, hotels, musica, storie incredibili e mille volti, tanti immortalati come icone, molti altri una cornice che spesso non aveva nulla da invidiare al quadro.

Oggi è tutto in un enorme serbatoio, storie, persone e racconti che ogni tanto tornano in superficie, nei momenti più inaspettati, suggerendomi idee creative, metodo e vere e proprie scelte di vita.

Nel tempo libero mi rifugiavo nell’altra mia grande passione, le sale buie di un cinema.

Continuai a fare tantissima musica, ma la mia fotografia iniziò ad espandersi nello sport, televisione, letteratura e cinema.

Nel 2012, mi trasferii a Locarno e fui immediatamente assorbito dal Festival del Cinema. Dopo anni passati su e giù da un aereo, i mostri sacri del cinema, una volta l’anno, volavano fin sotto casa.

La mia passione per la fotografia musicale si affievolì lasciando spazio a una sempre più pressante passione per il cinema.

Avevo attraversato la scena musicale anni 90 inglese a quella Italiana degli anni 2000, le cose stavano cambiando, come sempre accade, e io non mi sentivo più a mio agio in quel mondo, avevo voglia di imparare cose nuove.

Il festival di Locarno fu l’occasione perfetta, mi permise una transizione graduale dalla fotografia al cinema, di scrivere e girare un mio cortometraggio che si rivelò la mia scuola di cinema. Così come accadde anni prima a Londra, di nuovo, un corso intensivo sul campo.

Le immagini e la regia mi soddisfacevano, ma la scrittura era improvvisata, come poteva non esserlo.

Decisi di dedicarmi alla scrittura prima di girare qualsiasi altra cosa.

Non feci altro per anni, una mia sceneggiatura si fece notare al Sundance e all’Austin festival incoraggiandomi a continuare a scrivere e ad avventurarmi oltre le sceneggiature, nella letteratura.

Sette anni dopo esco finalmente da questo esercizio solitario e mi riaffaccio con un’opera prima cinematografica e il mio romanzo d’esordio.

 

Seconda tappa: descrizione fisica e caratteriale dei personaggi, come cambiano nel corso della storia, quali sono i loro obiettivi.

Il romanzo inizia con quattro personaggi senza nome.

Di loro sappiamo che sono  fratello, sorella, il suo migliore amico e un nuovo arrivato. Tutti dodicenni tranne la ragazza poco più grande e tutti ospiti, chissà da quanto tempo, di un orfanotrofio.

Un’età che rappresenta l’ultima chance per dar sfogo alla propria fanciullezza, un passaggio nel quale si vive con ansia il potentissimo e complicato cambiamento che attende appena dietro l’angolo e si guarda già con nostalgia alla semplicità del periodo che ci si appresta ad abbandonare per sempre.

In qualcuno c’è riluttanza nel voler abbandonare il mondo immaginifico e fantastico che per forza di cose da adolescente si trasformerà in qualcosa di meno naïve e più spigoloso. 

Altri lo ripudiano già nel goffo tentativo di bruciare le tappe.

Per tutti è forse l’ultima possibilità di farlo all’interno di un gruppo.  Da lì a poco, infatti, si cercherà il gruppo ma in modo diverso, da individui, con tutte le sovrastrutture che ci si trascina dietro.

L’avventura nella quale sono coinvolti è una vera e propria ricerca identitaria.

Prende il via con il rifiuto dei nomi propri che gli furono dati da chi poi, di fatto, se ne è liberato abbandonandoli, e noi, come loro e con loro, viviamo di pari passo questa loro ricerca di una nuova, definitiva, identità, a partire dai nomi che un po’ alla volta sceglieranno per definirsi.

Solo una volta trovate le loro nuove identità affronteranno la fuga dall’unico mondo che abbiano mai conosciuto, e affrontare quindi la seconda parte del romanzo, dove saranno costretti a scavare ancora più profondamente per scoprire la propria individualità.

 

Terza tappa: l'ambientazione e come influisce nel corso della storia.

C’è un filo  che lega il romanzo di formazione alla fiaba e ai rituali di iniziazione.

La fiaba è un ambiente che permette ai bambini di affrontare le loro paure in sicurezza. Nel mio romanzo parlo di ragazzi, o meglio di bambini che lo stanno per diventare, forse già troppo vicini a quel passaggio per concedersi rifugio nella fantasia.

L’ambientazione che ho voluto creare passa dal realismo cinico dell’orfanotrofio, alla libertà della montagna apparentemente senza confini, terreno perfetto per lasciar correre la fantasia. Gli archetipi delle fiabe ci sono tutti, i lupi, i cacciatori, le torri, ma il confine tra realtà e fantasia rimane sempre sfumato così come lo è per i quattro ragazzi.

Qualcuno si lascerà incantare da quell’ultima occasione di fanciullezza, per altri, ormai già troppo provati della vita, sarà più difficile superare la barriera della diffidenza.

Barriera rappresentata fisicamente nel romanzo dal ghiacciaio, che i ragazzi scelgono come luogo dove affrontare le loro paure e celebrare il loro rito di passaggio.

Il luogo dove si svolge la storia non è mai dichiarato, si passa velocemente dalla costa alla montagna e per questo ricorda molto la morfologia dell’Abruzzo.

La prima parte del romanzo è infatti ispirato a quel litorale che conosco molto bene per averci passato molto tempo, compresi i miei dodici anni.

Mi sono dovuto limitare a spostare la collina di cui parlo accanto alla Villa, che d’estate veniva usata come colonia estiva, e che quando rimaneva disabitata, con i miei amici visitavamo torce in mano, terrorizzati da quel suo aspetto così austero e, di notte, inquietante.

La montagna e in particolare il ghiacciaio invece sono luoghi che ho trovato in Svizzera dove vivo da ormai quasi dieci anni. Mentre scrivevo la prima versione del romanzo feci una escursione su un ghiacciaio con mio figlio, ho cercato di riportare le sensazioni provate in quel posto così particolare.

I luoghi influenzano molto le scelte e gli umori dei ragazzi.

Il passaggio dall’acqua del mare e la disinvoltura con la quale ci si muove su una calda spiaggia, all’alta montagna e la costante attenzione necessaria per poter vivere in un ambiente molto più mutevole.

Sfuggire all’afa e alla prigionia di un orfanotrofio controllato dagli adulti e ritrovarsi liberi e soli, esposti alle scoperte, ai pericoli e il gelo della notte in quota, ai piedi di un ghiacciaio, acuisce i sensi e scava in profondità nell’anima di chiunque, figuriamoci in quella ancora fresca e confusa di un dodicenne.

Una maturazione accelerata che innesca un vortice di emozioni sconosciute o ancora represse, creando un momento di inerzia capace di scagliare una giovane vita su sentieri imprevedibili.

 

Quarta tappa: il messaggio che vuoi trasmettere ai lettori, quale può essere il pubblico ideale, il target di riferimento

Lo spunto per raccontare questa storia l’ho trovato leggendo “Rito di passaggio” di Alexei Panshin, il libro nel quale il protagonista del mio romanzo si rifugia di continuo.

Nel libro di Panshin, al compimento dei quattordici anni, ragazzi e ragazze sono abbandonati su un pianeta selvaggio e solo chi supera la cosiddetta prova, in altre parole sopravvivere trenta giorni in quell’ambiente ostile, può diventare adulto.

Mi è piaciuta la metafora che Panshin ha usato per descrivere un passaggio così complicato, così ho cercato di immaginare che effetto potesse avere su un dodicenne che si avvicina a quella trasformazione.

Ho pensato quindi ad un ragazzo così a disagio con la sua età e con la situazione che vive, da preferir rifugiarsi tra le pagine di quel libro alla ricerca di conforto.

Condividendo con i personaggi del libro di Panshin un destino, che seppur brutale, lo aiuta a tracciare un parallelo con la sua situazione, rassicurandolo e in seguito, quando la situazione precipita, guidandolo come fosse uno strumento per interpretare la realtà.

La sua ossessione per quella storia lo spinge a cercare e proiettare similitudini e parallelismi con la sua vita reale, suggerendogli prima una vera fuga dal suo mondo, l’orfanotrofio-prigione e, successivamente quando l’acquisita libertà in montagna diventa insostenibile, lo accompagna in un’ulteriore fuga, questa volta fantastica, coinvolgendo anche gli amici che inizialmente lo criticavano per questo sua fissazione così infantile.

Nel momento di massima incertezza, quando l’avventura intrapresa si dimostra troppo difficile per dei ragazzi di quell’età, decidono di non aspettare passivamente il passaggio finale verso l’adolescenza, ma di affrontarlo, rifugiandosi anche loro in quel mondo fantastico, affidando la guida a chi era considerato il più debole del gruppo.

Il sognatore, l’anima sensibile.

Ho sempre interpretato con un velo di malinconia il vezzo dell’adulto che si ostina a rivivere e ricordare la propria infanzia, connotando la nostalgia a un sapore amaro, a un’insoddisfazione di fondo.

Mi sento più un incompleto che non un insoddisfatto, un po' come Indy, mi mancheranno sempre “i due giorni al traguardo”.

Immagino Indy come quello che non ha bisogno di guardare indietro perché ha ancora tutto a portata di mano, se lo porta dentro e guarda sempre poco più avanti, nella speranza di chiudere il cerchio che continua a tracciare da sempre senza mai ritrovare il tratto iniziale.

Mi affascinava quindi provare a vedere cosa accade all’anima sensibile, così come a quello che invece si lascia sopraffare dal cinismo e rimane fuori dall’esperienza di gruppo.

Avendo ora due figli che si avvicinano a quella fase, mi ritrovo a poter osservare di nuovo quel passaggio, non più con una visone offuscata dal tempo, ma da un punto di vista esterno, privilegiato e vivido.

Un’opportunità che non avrò più e che ho voluto cogliere tentando di scrivere una storia che possa rappresentare questo momento così segnante e altrimenti sfuggente.

Tratteggiare ancora, con l’illusione di avvicinarmi un po’ di più al tratto iniziale.

 

Estratto 1

Le suore ci portavano alla colonia per togliersi la muffa accumulata durante i mesi invernali, ma quell’anno, a causa dei lavori di ristrutturazione nei due Istituti, maschile e femminile, ci trasferirono tutti giù alla Villa al mare da maggio a ottobre, invece che i canonici due mesi estivi, caricandoci sul torpedóne appena dopo Pasqua. 
Era un autobus, ma per me, quello lì in particolare, rimarrà sempre un torpedóne, lo chiamavano così le suore e così imparammo a chiamarlo noi. Mi è sempre piaciuto quel nome, anche se oggi, se lo menzionassi a un ragazzino di dodici anni, penserebbe a qualche goffo razzo fantascientifico piuttosto che a un pullman. Il trasferimento dall’Istituto alla Villa al mare, o meglio dall’orfanotrofio invernale a quello estivo, non era che un’unica tortuosa discesa da un paese di collina, quasi montagna, a mio parere dimenticato da Dio e non solo, con arrivo a pochi, ma lunghissimi metri dalla spiaggia. 
Lo aspettavamo tutti con ansia quel viaggio verso una prigione più lasciva e più calda, anche se la metà di noi sapeva di doverlo affrontare con gli occhi chiusi e le mani sulla bocca per cercare di non vomitare o quantomeno tentare di contenere la colazione appena fatta. 
Nessuno di noi era abituato a viaggiare con alcun mezzo di trasporto, e l’odore dei vecchi sedili di stoffa ammuffita e i tornanti di quella strada erano un test impegnativo anche per lo stomaco più forte. 
Almeno un paio di volte durante il tragitto l’autista doveva accostare per far rotolare fuori dal torpedóne il vomitatore di turno. 
Una delle rare occasioni in cui a nessuno di noi importava di essere visto in difficoltà, magari carponi sul prato, dal resto del nostro bus. Non c’era umiliazione, anzi suscitava forse una timida parvenza di empatia e sicuramente una profonda gratitudine per l’imprevista pausa concessa al gruppo, che grazie al sacrificio di uno poteva godere dell’aria fresca che finalmente entrava dalla porta aperta del bus e si gelava sulle fronti sudate dei tanti. C’era però sempre il rischio che anche quello dell’Istituto femminile si potesse fermare dietro al nostro e a quel punto, il tuo esordio in società sarebbe stato in ginocchio con lo sguardo basso su una torta giallastra sul verde saturo dell’erba. 
Dopo un inverno apatico passato tra maschi ad aspettare quel minimo di promiscuità estiva, nessuno voleva essere il pasticciere sul prato e non mi vergogno ad ammettere di aver più volte ingoiato, con estremo dolore, il rigurgito acido che mi risaliva in gola. 
Erano mesi che per incontrare le ragazze dovevamo aspettare le messe domenicali e quella parentesi estiva era un’oasi di quasi normalità, per qualcuno di noi una breve riunione famigliare con le sorelle ospiti nell’Istituto femminile. 

 

Estratto 2

«Te l’ho già detto cosa è successo», si giustificò lui.
«Rimane il fatto che siamo senza cibo.»
«Questo è vero…» mi diede finalmente ragione Mia. Era ormai buio pesto.
Uno strano rumore, appena percettibile, arrivava dai limiti del bosco appena sotto di noi. Ci alzammo tutti per andare all’ingresso della torre. Il verso si fece lentamente più forte. Si stava avvicinando.
Sembrava una voce stridula. Una moltitudine di voci. Per fortuna la sentimmo tutti e quattro, perché oggi farei fatica a capire se è accaduto veramente o se è stata un’allucinazione. 
La paura, i lupi, i cacciatori, lo stress di quei giorni stavano forse infl uenzando più di quanto potessimo immaginare le nostre giovani menti suscettibili.
E non sarebbe stata l’ultima volta. Molto di quell’estate è fi nito in un limbo tra realtà e mito.
«Corvi?» propose, o forse domandò, Indy.
«I corvi fanno questo verso?» chiese Mia.
«Sanno imitare molti suoni», spiegò Indy.
«E questo dove lo avrebbero sentito secondo te?» chiese Nero preoccupato.
«Soprattutto, quanti sono? Mi avete convinto, andiamocene da qui… appena farà mattina, però!» dissi senza vergognarmi del tremolio nella voce.

 

 

 

 

 

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