Rito di Passaggio di Alessio Pizzicannella – BLOG TOUR
Carissimi Book Lovers, oggi vi presento la seconda tappa Estratto del Blog Tour del romanzo di Alessio Pizzicannella "Rito di Passaggio", edito dalla casa editrice Baldini+Castoldi, un romanzo poetico e avventuroso, che racconta una vicenda universale: il momento nella vita di ognuno di noi in cui non si è più bambini ma non si è ancora adulti e ogni scelta può essere quella decisiva.
Scheda Tecnica
- Titolo: Rito di Passaggio
- Autore: Alessio Pizzicannella
- Serie://
- Data di Pubblicazione: 23 Settembre 2021
- Genere: Narrativa Contemporanea
- Casa Editrice: Baldini+Castoldi
- Pagine: 208
- Prezzo: eBook € 9,99 - Cartaceo € 16,00
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Sinossi
È l’estate del 1984 e il protagonista, un ragazzo di dodici anni, sua sorella poco più grande e il suo migliore amico, sono ospiti di un orfanotrofio gestito da suore.
Le “invisibili” come le chiamano loro.
I tre amici si ritrovano presto a far amicizia con un nuovo arrivato dell’orfanotrofio.
Un coetaneo che si rifiuta di svelare il suo vero nome, fornendo come unica spiegazione il fatto che quello di battesimo gli era stato dato da chi poi, di fatto, lo aveva abbandonato senza farsi troppi problemi.
Curiosità e sospetto per il ragazzino scombussolano i loro rapporti.
Difficoltà facilmente sormontabili per un gruppo di dodicenni, che presto legano al punto di voler seguire l’esempio dell’ultima recluta, scegliendosi anche loro dei nuovi nomi.
Tutt’altro tipo di ostacolo da affrontare è quello che gli si presenta da lì a poco. I ragazzi scoprono infatti che uno di loro sarà adottato e posti davanti all’inevitabile separazione per mano degli “invisibili”, decidono di vivere un’ultima avventura insieme.
Fuggono dall’orfanotrofio trovando nascondiglio in montagna dove i primi giorni sono vissuti con un misto di timore ed entusiasmo, poi, a mano a mano che salgono verso le cime, avvertono il senso della loro avventura farsi sempre più sfuggente.
Non staranno cercando di compiere un’impresa troppo grande?
Sotto stress e ispirati dal libro di fantascienza da cui uno dei ragazzi è ossessionato, pianificano una nuova fuga, questa volta cercando rifugio in un loro fantastico rito di passaggio, prima di dover affrontare in modo definitivo quello che li aspetta a valle.
Le ombre delle decisioni di ciascuno si allungano fino al loro futuro di adulti.
Un romanzo poetico e avventuroso, che racconta una vicenda universale: il momento nella vita di ognuno di noi in cui non si è più bambini ma non si è ancora adulti e ogni scelta può essere quella decisiva.
Biografia
Nel 1993 la musica, all’epoca la mia più grande passione, mi portò a trasferirmi in Inghilterra dove mi ritrovai in pieno fenomeno Britpop.
Un periodo incredibile, nel quale la musica prese per mano l’intera scena culturale e politica del paese, riportano Londra ad assaporare la gloria e lo swinging degli anni 60, in quella che veniva definita Cool Britannia.
Per una volta ero al posto giusto, al momento giusto, e volevo farne parte.
Così uscii di casa per vendere il mio basso a un negozio in Denmark Street, l’epicentro della scena musicale degli anni 60, e con il misero ricavo andai poco più in là, ad una parallela dove c’erano i negozi di macchine fotografiche.
Iniziai a fotografare qualsiasi concerto riuscissi a farmi accreditare, mi iscrissi ad uno corso di fotografia alla Central St Martin, la scuola d’arte citata dai Pulp, e una volta messe insieme abbastanza foto bussai alla porta del NME. La rivista musicale più importante in Inghilterra e in quel momento nel mondo. La redazione che inventò di sana pianta la battaglia delle charts tra Oasis e Blur, il centro nevralgico di quella nuova scena musicale.
Ancora una volta, il posto giusto al momento giusto, mi fu data una chance ed entrai dalla porta principale del Britpop.
Venni immediatamente risucchiato da quel vortice e passai gli anni che seguirono a girare il mondo per ritrarre autori del calibro di Neil Young, Rolling Stones, Metallica, REM, Radiohead, U2.
Iniziarono subito le collaborazioni con le principali case discografiche e con i più noti magazine Inglesi e internazionali («Vanity Fair», «Rolling Stone», «Times», «The Guardian», «The Observer»).
La mia frequentazione al corso di fotografia, appena iniziato, non arrivò oltre il Natale. L’NME era un settimanale e generava tantissimo lavoro, non c’era tempo da perdere e dovetti imparare tutto molto velocemente sul campo.
Furono anni pieni di aeroporti, hotels, musica, storie incredibili e mille volti, tanti immortalati come icone, molti altri una cornice che spesso non aveva nulla da invidiare al quadro.
Oggi è tutto in un enorme serbatoio, storie, persone e racconti che ogni tanto tornano in superficie, nei momenti più inaspettati, suggerendomi idee creative, metodo e vere e proprie scelte di vita.
Nel tempo libero mi rifugiavo nell’altra mia grande passione, le sale buie di un cinema.
Continuai a fare tantissima musica, ma la mia fotografia iniziò ad espandersi nello sport, televisione, letteratura e cinema.
Nel 2012, mi trasferii a Locarno e fui immediatamente assorbito dal Festival del Cinema. Dopo anni passati su e giù da un aereo, i mostri sacri del cinema, una volta l’anno, volavano fin sotto casa.
La mia passione per la fotografia musicale si affievolì lasciando spazio a una sempre più pressante passione per il cinema.
Avevo attraversato la scena musicale anni 90 inglese a quella Italiana degli anni 2000, le cose stavano cambiando, come sempre accade, e io non mi sentivo più a mio agio in quel mondo, avevo voglia di imparare cose nuove.
Il festival di Locarno fu l’occasione perfetta, mi permise una transizione graduale dalla fotografia al cinema, di scrivere e girare un mio cortometraggio che si rivelò la mia scuola di cinema. Così come accadde anni prima a Londra, di nuovo, un corso intensivo sul campo.
Le immagini e la regia mi soddisfacevano, ma la scrittura era improvvisata, come poteva non esserlo.
Decisi di dedicarmi alla scrittura prima di girare qualsiasi altra cosa.
Non feci altro per anni, una mia sceneggiatura si fece notare al Sundance e all’Austin festival incoraggiandomi a continuare a scrivere e ad avventurarmi oltre le sceneggiature, nella letteratura.
Sette anni dopo esco finalmente da questo esercizio solitario e mi riaffaccio con un’opera prima cinematografica e il mio romanzo d’esordio.
Seconda tappa: descrizione fisica e caratteriale dei personaggi, come cambiano nel corso della storia, quali sono i loro obiettivi.
Il romanzo inizia con quattro personaggi senza nome.
Di loro sappiamo che sono fratello, sorella, il suo migliore amico e un nuovo arrivato. Tutti dodicenni tranne la ragazza poco più grande e tutti ospiti, chissà da quanto tempo, di un orfanotrofio.
Un’età che rappresenta l’ultima chance per dar sfogo alla propria fanciullezza, un passaggio nel quale si vive con ansia il potentissimo e complicato cambiamento che attende appena dietro l’angolo e si guarda già con nostalgia alla semplicità del periodo che ci si appresta ad abbandonare per sempre.
In qualcuno c’è riluttanza nel voler abbandonare il mondo immaginifico e fantastico che per forza di cose da adolescente si trasformerà in qualcosa di meno naïve e più spigoloso.
Altri lo ripudiano già nel goffo tentativo di bruciare le tappe.
Per tutti è forse l’ultima possibilità di farlo all’interno di un gruppo. Da lì a poco, infatti, si cercherà il gruppo ma in modo diverso, da individui, con tutte le sovrastrutture che ci si trascina dietro.
L’avventura nella quale sono coinvolti è una vera e propria ricerca identitaria.
Prende il via con il rifiuto dei nomi propri che gli furono dati da chi poi, di fatto, se ne è liberato abbandonandoli, e noi, come loro e con loro, viviamo di pari passo questa loro ricerca di una nuova, definitiva, identità, a partire dai nomi che un po’ alla volta sceglieranno per definirsi.
Solo una volta trovate le loro nuove identità affronteranno la fuga dall’unico mondo che abbiano mai conosciuto, e affrontare quindi la seconda parte del romanzo, dove saranno costretti a scavare ancora più profondamente per scoprire la propria individualità.
Terza tappa: l'ambientazione e come influisce nel corso della storia.
C’è un filo che lega il romanzo di formazione alla fiaba e ai rituali di iniziazione.
La fiaba è un ambiente che permette ai bambini di affrontare le loro paure in sicurezza. Nel mio romanzo parlo di ragazzi, o meglio di bambini che lo stanno per diventare, forse già troppo vicini a quel passaggio per concedersi rifugio nella fantasia.
L’ambientazione che ho voluto creare passa dal realismo cinico dell’orfanotrofio, alla libertà della montagna apparentemente senza confini, terreno perfetto per lasciar correre la fantasia. Gli archetipi delle fiabe ci sono tutti, i lupi, i cacciatori, le torri, ma il confine tra realtà e fantasia rimane sempre sfumato così come lo è per i quattro ragazzi.
Qualcuno si lascerà incantare da quell’ultima occasione di fanciullezza, per altri, ormai già troppo provati della vita, sarà più difficile superare la barriera della diffidenza.
Barriera rappresentata fisicamente nel romanzo dal ghiacciaio, che i ragazzi scelgono come luogo dove affrontare le loro paure e celebrare il loro rito di passaggio.
Il luogo dove si svolge la storia non è mai dichiarato, si passa velocemente dalla costa alla montagna e per questo ricorda molto la morfologia dell’Abruzzo.
La prima parte del romanzo è infatti ispirato a quel litorale che conosco molto bene per averci passato molto tempo, compresi i miei dodici anni.
Mi sono dovuto limitare a spostare la collina di cui parlo accanto alla Villa, che d’estate veniva usata come colonia estiva, e che quando rimaneva disabitata, con i miei amici visitavamo torce in mano, terrorizzati da quel suo aspetto così austero e, di notte, inquietante.
La montagna e in particolare il ghiacciaio invece sono luoghi che ho trovato in Svizzera dove vivo da ormai quasi dieci anni. Mentre scrivevo la prima versione del romanzo feci una escursione su un ghiacciaio con mio figlio, ho cercato di riportare le sensazioni provate in quel posto così particolare.
I luoghi influenzano molto le scelte e gli umori dei ragazzi.
Il passaggio dall’acqua del mare e la disinvoltura con la quale ci si muove su una calda spiaggia, all’alta montagna e la costante attenzione necessaria per poter vivere in un ambiente molto più mutevole.
Sfuggire all’afa e alla prigionia di un orfanotrofio controllato dagli adulti e ritrovarsi liberi e soli, esposti alle scoperte, ai pericoli e il gelo della notte in quota, ai piedi di un ghiacciaio, acuisce i sensi e scava in profondità nell’anima di chiunque, figuriamoci in quella ancora fresca e confusa di un dodicenne.
Una maturazione accelerata che innesca un vortice di emozioni sconosciute o ancora represse, creando un momento di inerzia capace di scagliare una giovane vita su sentieri imprevedibili.
Quarta tappa: il messaggio che vuoi trasmettere ai lettori, quale può essere il pubblico ideale, il target di riferimento
Lo spunto per raccontare questa storia l’ho trovato leggendo “Rito di passaggio” di Alexei Panshin, il libro nel quale il protagonista del mio romanzo si rifugia di continuo.
Nel libro di Panshin, al compimento dei quattordici anni, ragazzi e ragazze sono abbandonati su un pianeta selvaggio e solo chi supera la cosiddetta prova, in altre parole sopravvivere trenta giorni in quell’ambiente ostile, può diventare adulto.
Mi è piaciuta la metafora che Panshin ha usato per descrivere un passaggio così complicato, così ho cercato di immaginare che effetto potesse avere su un dodicenne che si avvicina a quella trasformazione.
Ho pensato quindi ad un ragazzo così a disagio con la sua età e con la situazione che vive, da preferir rifugiarsi tra le pagine di quel libro alla ricerca di conforto.
Condividendo con i personaggi del libro di Panshin un destino, che seppur brutale, lo aiuta a tracciare un parallelo con la sua situazione, rassicurandolo e in seguito, quando la situazione precipita, guidandolo come fosse uno strumento per interpretare la realtà.
La sua ossessione per quella storia lo spinge a cercare e proiettare similitudini e parallelismi con la sua vita reale, suggerendogli prima una vera fuga dal suo mondo, l’orfanotrofio-prigione e, successivamente quando l’acquisita libertà in montagna diventa insostenibile, lo accompagna in un’ulteriore fuga, questa volta fantastica, coinvolgendo anche gli amici che inizialmente lo criticavano per questo sua fissazione così infantile.
Nel momento di massima incertezza, quando l’avventura intrapresa si dimostra troppo difficile per dei ragazzi di quell’età, decidono di non aspettare passivamente il passaggio finale verso l’adolescenza, ma di affrontarlo, rifugiandosi anche loro in quel mondo fantastico, affidando la guida a chi era considerato il più debole del gruppo.
Il sognatore, l’anima sensibile.
Ho sempre interpretato con un velo di malinconia il vezzo dell’adulto che si ostina a rivivere e ricordare la propria infanzia, connotando la nostalgia a un sapore amaro, a un’insoddisfazione di fondo.
Mi sento più un incompleto che non un insoddisfatto, un po' come Indy, mi mancheranno sempre “i due giorni al traguardo”.
Immagino Indy come quello che non ha bisogno di guardare indietro perché ha ancora tutto a portata di mano, se lo porta dentro e guarda sempre poco più avanti, nella speranza di chiudere il cerchio che continua a tracciare da sempre senza mai ritrovare il tratto iniziale.
Mi affascinava quindi provare a vedere cosa accade all’anima sensibile, così come a quello che invece si lascia sopraffare dal cinismo e rimane fuori dall’esperienza di gruppo.
Avendo ora due figli che si avvicinano a quella fase, mi ritrovo a poter osservare di nuovo quel passaggio, non più con una visone offuscata dal tempo, ma da un punto di vista esterno, privilegiato e vivido.
Un’opportunità che non avrò più e che ho voluto cogliere tentando di scrivere una storia che possa rappresentare questo momento così segnante e altrimenti sfuggente.
Tratteggiare ancora, con l’illusione di avvicinarmi un po’ di più al tratto iniziale.
Estratto 1
Estratto 2
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